Crescono i provider che spingono le imprese clienti a utilizzare le risorse del welfare aziendale, tra cui i fringe benefit, nei circuiti territoriali. L’obiettivo è mantenere la ricchezza nei contesti in cui viene creata. Ma diffidenze e resistenze sono difficili da superare, anche e soprattutto tra le PMI.
Il welfare aziendale negli ultimi anni ha portato a un aumento dei consumi delle famiglie italiane. “Sono stati immessi nel mercato milioni di euro”, riflette Katia Cais, direttrice della divisione welfare di TreCuori.
“Ma questi soldi a chi sono andati?” si chiede. Certamente ai dipendenti delle imprese che fanno welfare, che ne hanno goduto per rafforzare la propria capacità di spesa, ma poi a cascata in quali realtà commerciali sono stati spesi? In altre parole, quali organizzazioni oggi sono in grado di sfruttare l’occasione offerta dalle risorse del welfare aziendale e, in particolare, dei fringe benefit?
Queste domande ne implicano un’altra, ancora più ampia e interessante: il welfare aziendale può sostenere anche il commercio locale che, come abbiamo visto, è sempre più in sofferenza? Il quesito suona astratto ma, in realtà, sono diverse le esperienze concrete che si stanno muovendo in questa direzione, convinte che il welfare aziendale possa essere davvero una leva importante per il benessere dei territori. L’idea è affascinante, ma la sua realizzazione è spesso complessa. Per questo è bene fare un passo alla volta, e partire dai dati.
Fringe benefit e consumi
Il contributo del welfare aziendale nel far crescere i consumi italiani è avvenuto, in particolare, grazie agli aumenti delle soglie di detassazione per i fringe benefit.
“I fringe benefit sono uno strumento chiave per il benessere economico delle famiglie e per la ripresa dei consumi, per i quali nel 2024, proprio grazie alla leva del welfare privato, si stima una crescita dello 0,8% rispetto al 2023”, si legge in una ricerca di The European House – Ambrosetti commissionata dal provider di welfare aziendale Edenred Italia.
La ricerca mette in evidenza la stretta relazione tra l’andamento dei consumi e il ricorso da parte delle aziende ai fringe benefit, strumento di welfare aziendale messo a disposizione dei lavoratori sotto forma di buoni acquisto, esenti da IRPEF e addizionali comunali e regionali, utilizzabili per diverse tipologie di spesa, come alimentari, carburante, istruzione, genitorialità.
“Il ricorso ai fringe benefit – continua l’analisi di The European House – Ambrosetti – ha preso impulso nel 2020, durante la pandemia, sulla spinta dei provvedimenti che ne hanno progressivamente ampliato la soglia di detassazione”, che nel giro di pochi anni è passata da 258,23 euro a 3.000 euro. Per il 2024, la Legge di Bilancio ha stabilito l’aumento della soglia di detassazione per i dipendenti senza figli a carico da 258,23 a 1.000 euro e la corrispondente riduzione per chi ha figli a carico da 3.000 a 2.000 euro rispetto al 2023. È questa scelta che, secondo la ricerca voluta da Edenred, dovrebbe portare a una crescita dei consumi rispetto all’anno precedente.
Grandi piattaforme e commercio locale
Il punto è come i dipendenti che godono di questa forma di welfare aziendale spendono i loro fringe benefit, che solitamente sono veicolati tramite buoni benzina, card o voucher acquisto da usare presso catene commerciali, negozi e, soprattutto, grandi piattaforme di commercio on line. Proprio per la loro natura, secondo Cais di TreCuori, a beneficiarne sono stati molto più i grandi attori dell’e-commerce come Amazon piuttosto che gli esercenti del commercio locale e questa, a suo giudizio, è un’occasione persa.
TreCuori, infatti, sono anni che si impegna per rendere sempre più territoriale il welfare aziendale e quindi fare in modo che i pacchetti di welfare aziendale, compresi i fringe benefit, vengano spesi il più possibile sui territori nei quali i lavoratori abitano, inserendo all’interno della propria piattaforma di welfare negozi e servizi locali. “Che tu sia a Padova, Milano o in un paesino della Sardegna, se vuoi spendere il tuo credito di welfare aziendale dal tuo dentista di fiducia, nella maggior parte dei casi, noi riusciamo a fartelo fare”, racconta Cais, spiegando come la sua azienda non faccia pagare nessun costo alle imprese locali che mette in piattaforma (come il dentista del suo esempio) e quindi favorisca l’economia locale. “Siamo stati anche disposti a perdere un’azienda perché, come TreCuori, non attiviamo buoni Amazon, ma la maggior parte delle imprese capisce ed è in linea con questa filosofia”, aggiunge.
“La sinergia tra welfare aziendale, commercio locale e PMI nonché cittadinanza e pubbliche amministrazioni sta alla base del welfare territoriale. Questo di fatto significa voler bene al proprio territorio e, di conseguenza, migliorare la qualità del posto in cui vivi”, riassume Gabriele Brunello, consulente del lavoro ed esperto di welfare aziendale, che da anni collabora con TreCuori e ne è anche diventato socio. TreCuori non è certo l’unico provider di welfare aziendale che mostra questa attenzione ai territori. Ci sono altri attori del settore che seguono questo approccio, ma ci sono anche esperienze che provano ad andare oltre.
Diverse iniziative con un certo grado di innovazione erano in fase di ideazione già prima della pandemia e poi, con il ricorso obbligato al digitale, hanno subito un’accelerazione e sono diventate operative negli ultimi due o tre anni. È il caso, per esempio, di OlliPay e delle piattaforme di e-commerce locali lanciate da Mediatip.
Territori a portata di click
Ollipay è stata lanciata nel 2022 da un altro provider di welfare aziendale, Well-Work, ed è un’applicazione che consente di spendere la quota annuale di fringe benefit presso attività e servizi di prossimità valorizzando così i circuiti commerciali locali piuttosto che le sole catene della grande distribuzione o piattaforme di e-commerce come Amazon o eBay.
Come ci aveva spiegato Marco Milanesio, CEO e fondatore di Well-Work, uno degli obiettivi di OlliPay è “favorire i piccoli esercizi commerciali e artigianali del territorio, tradizionalmente esclusi dal mondo dei fornitori che beneficiano, direttamente o indirettamente, delle ricadute del welfare aziendale”. L’idea di realizzare un’app di questo tipo risale a prima della pandemia da Covid 19, ma si è concretizzata solo nell’immediato post pandemia.
Fa ragionamenti simili anche Luigi Angelini, fondatore e CEO di Mediatip, che si occupa di welfare aziendale col marchio Welfare Group, e negli ultimi anni ha lanciato diverse piattaforme di commercio locale in Emilia-Romagna: Io Sono Cesena, aFaenza, xRimini e InRavenna. A suo parere, il welfare aziendale può essere il carburante giusto per far partire questo tipo di strumenti che poi, una volta avviati, possono raggiungere un’utenza più ampia dei soli dipendenti delle imprese che prevedono pacchetti welfare. Per iniziare, però, sono un’ottima base e, infatti, spiega, “Welfare Group, in totale trasparenza, propone alle aziende sue clienti di dare ai loro dipendenti la possibilità di spendere il loro credito welfare anche sulle nostre piattaforme come Io Sono Cesena, proprio per sostenere il commercio di prossimità”.
Le esperienze di questo tipo si stanno moltiplicando, con attori e dimensioni di volta in volta differenti. Un altro provider ad essersi mosso, per esempio, è Tantosvago, che ha lanciato GOWelfare. Sul suo sito, GOWelfare viene presentata come un’app su cui sono registrati circa 100.000 dipendenti con credito welfare e circa 35.000 esercizi commerciali locali, gli ultimi dei quali sono quelli di Monza, dove l’iniziativa è arrivata lo scorso maggio.
Anche le Banche di Credito Cooperativo hanno creato una loro piattaforma e, nel 2023, hanno lanciato Crea welfare, per sviluppare “un modello alternativo di welfare, aziendale prima e territoriale poi”. “La mission è semplice, ma ambiziosa”, ha spiegato il presidente di Crea Welfare, Nicola Piccinelli in un comunicato stampa: “valorizzare il patrimonio di relazioni delle BCC per mettere in connessione aziende ed esercenti del territorio, facendoli interagire mediante una piattaforma digitale proprietaria semplice, flessibile, personalizzabile e in grado di veicolare un’offerta di “welfare a km 0” a beneficio dei dipendenti e delle loro famiglie”.
MarketPass e il Welfare Indiretto
La stessa TreCuori ha fortemente investito in questo ambito. Da tempo, infatti, come abbiamo già avuto modo di raccontare, sta lavorando a una piattaforma di e-commerce nazionale riservata alle sole PMI: Marketpass.
La piattaforma è pensata per essere autonoma, rispetto alle attività di TreCuori nell’ambito del welfare, ma è chiaro che esistono delle connessioni. Da un lato, TreCuori, vuole anch’essa consentire ai dipendenti delle aziende sue clienti di far spendere i fringe benefit direttamente su Marketpass: “è una possibilità in cantiere, ci stiamo lavorando anche a livello tecnologico”, dice Cais. Dall’altro, si è inventata una nuova forma di welfare, denominata Welfare Indiretto, per far conoscere l’iniziativa al maggior numero di aziende e persone possibili.
In pratica, TreCuori per incentivare l’uso della piattaforma mette gratuitamente a disposizione dei dipendenti delle sue aziende clienti dei buoni spesa che vanno a ridurre l’esborso monetario di chi compra su MarketPass (con effetto di veri e propri sconti). Questo, dunque, offre un sostegno aggiuntivo a chi già fruisce dei piani di welfare della propria azienda. Inoltre il provider offre alle aziende la possibilità di misurare l’impatto che le persone coinvolte nel Welfare Indiretto hanno sul commercio locale, misurando gli acquisti che effettuano presso le PMI del territorio tramite Marketpass. Ne scaturisce una rendicontazione che le imprese possono inserire nei propri report di sostenibilità migliorandone di conseguenza il relativo rating ESG.
“Il nostro spirito – riprende la direttrice welfare Cais – è spingere le aziende a creare una cultura del consumo sostenibile”. Innescare il circolo virtuoso immaginato con Marketpass, però, non è facile. Brunello pensa che la piattaforma di TreCuori sia “un sistema d’avanguardia” ma che sia “inizialmente complesso da capire” e che quindi “sia necessaria una forte azione comunicativa per superare un primo approccio a volte di sospetto”. MarketPass è molto attenta a tutelare gli interessi di commercianti e PMI, fornendo servizi e limitando il più possibile i costi, eppure, Cais dice di trovare spesso “poca consapevolezza [della situazione]” e una certa “resistenza [alle novità]” negli esercenti cui presenta l’iniziativa.
Forte diffidenza e scarso entusiasmo possono avere tante ragioni diverse, ma tra queste vi potrebbero essere anche precedenti esperienze negative in settori simili. Pensiamo ai provider di welfare aziendale che chiedono commissioni elevate per essere presenti sulle loro piattaforme, oppure agli scioperi di bar e ristoranti contro i costi eccessivi legati ai buoni pasto. Quale che siano le motivazioni, innovare di certo non è facile. Quando Brunello propone Marketpass nei territori in cui lavora, sia agli esercenti per un’adesione diretta, sia alle amministrazioni locali perché sostengano l’iniziativa, confida di fare fatica: “dobbiamo abbattere un muro”, dice. Anche Cais riconosce che “cambiare le abitudini non è facile”, ma col welfare aziendale è successo e alcune dinamiche “ora sono state scardinate”. Ci vuole tempo, e ottimismo.