Le cause: e-commerce, ipermercati, caro affitti. Mario Pozza (Camera di Commercio di Treviso e Belluno): «Tassare chi tiene sfitto»
Vetrine vuote, saracinesche abbassate, cartelli di «cessata attività»: in 12 mesi, dall’1 gennaio al 31 dicembre 2024, il Veneto ha visto morire più di 1.500 negozi. Per la maggior parte, si tratta di attività nei centri storici, molti nei Comuni capoluogo, moltissimi nei centri di media grandezza e nei paesi. Chi spegne la candela? Soprattutto i titolari di negozi di abbigliamento e scarpe, articoli sportivi, libri, dischi e prodotti per la casa, infine le nicchie di commercio al dettaglio…
I numeri
I numeri, elaborati dall’ufficio studi della Camera di commercio di Treviso-Belluno, da soli descrivono la crisi del «negozio tradizionale». Vie dello shopping, porticati, piazze e piazzette: un tessuto economico che si lacera, con ripercussioni sulla vivibilità di città e paesi, sulla sicurezza, il decoro e, buon ultimo, l’appeal turistico. Le unità attive nel commercio al dettaglio (leggi negozi) in Veneto, al 31 dicembre scorso, sono 62.344: 1.553 in meno di quante erano l’1 gennaio 2024. Venezia ha perso 202 negozi, 56 nel capoluogo e 146 nel resto della provincia. Treviso ne ha persi di più, 265, con distribuzione simile: pochi (-29) nella città e molti (-236) in provincia. L’emorragia di Padova tocca quota 294 ma ha «logica» diversa: 102 le attività cessate nel capoluogo, 192 quelle in provincia. Verona assomiglia a Padova, con numeri maggiori (sono anche i peggiori in regione): 403 attività perdute nell’anno, 171 in città e 232 negli altri Comuni. La distribuzione delle chiusure di Vicenza sta a metà tra quelle descritte: il -137 è per quasi un terzo (-40) nel capoluogo; alla provincia le altre 97 cessazioni. Ultime Belluno e Rovigo, che, insieme, segnano un rosso di 352 unità commerciali, 60 nei capoluoghi.
Le cause
Dai numeri alle cause. «Sono quelle che sappiamo – dice Mario Pozza, presidente della Camera di commercio di Treviso e Belluno -. I negozi tradizionali pagano la concorrenza dell’e-commerce e dei centri commerciali, che si somma alla perdita di potere d’acquisto degli italiani. Poi c’è il grande tema del caro affitti…». Cristina Giussani, presidente Confesercenti Veneto, aggiunge un ceppo: «Non dobbiamo sottovalutare come, oggi, le maggiori difficoltà dei negozi nascano anche da un credito sempre più asfittico, oltre che da un mercato sempre più difficile». Un mattone anche da Patrizio Bertin: «Gli affitti sono sicuramente un fattore – spiega il presidente di Ascom Confcommercio Padova – ma anche il ricambio generazionale pesa molto e incidono i margini sempre più stretti».
Gli incassi giù del 30 per cento
Entrate e margini, un dato dal Trevigiano: «Il 2024 – voce di Gianni Taffarello, direttore Confesercenti Treviso – ha segnato una riduzione di incassi media del 30%, se rapportata all’anno precedente (dato del Centro studi di Confesercenti Treviso, ndr). Dopo il 2023, che sembrava essere l’anno della ripresa post Covid, questo rimbalzo ha contribuito a creare insicurezza tra gli operatori…». Si salva dalla bufera chi ha la «fortuna» di potersi calare nel doppio abito di negoziante e proprietario del/dei locali, ma siamo alla riserva indiana o quasi. Tutti gli altri girano dentro un gioco in cui diffidenze reciproche e paure complicano tremendamente il rapporto tra locatori e locatari. «Senza ampie garanzie, è meglio tenere vuotoche affittare», dicono i primi. Risposta: «Se pretendete la luna…».
Il modello di città
Resta spazio per le possibili risposte al problema. Prima, però, l’invito di Giussani a una «riflessione etica: che città vogliamo? È la prima domanda a cui dobbiamo rispondere noi cittadini e istituzioni. Le decisioni politiche che negli anni hanno avvantaggiato il proliferare dei centri commerciali a ridosso delle città, cui si è sommata la crescita esponenziale del commercio on line senza un’adeguata legislazione, hanno compromesso i negozi di vicinato – argomenta la numero uno di Confesercenti -. Ma anche il singolo comportamento fa la differenza: dove acquisto? Dobbiamo essere consapevoli che l’acquisto porta delle conseguenze, che sono già sotto gli occhi di tutti, con alcune aree delle nostre città desertificate, lasciate sporche e buie perché chiuse, con fenomeni di microcriminalità in aumento e l’abbassamento del valore dei negozi stessi e delle abitazioni limitrofe».
I locali sfitti
Su queste ultime considerazioni si innesta la proposta di Mario Pozza: «Bisogna rendere più appetibile l’affittare negozi, questo è il punto. Come? Alleggerendo la tassazione quando lo spazio è affittato; aumentandola, invece, quando il negozio è vuoto. Abbiamo già dei modelli in questo senso. A New York, ad esempio, se possiedi un negozio chiuso paghi una tassazione maggiore rispetto a quella richiesta se fosse aperto. Vale per spazi in centro e periferia, ovviamente con importi maggiori o minori a seconda del valore commerciale della zona e del negozio stesso». Domanda: possibile che, falciati i negozi storici, i giganti planetari del commercio stiano già abbattendo l’anello superiore? Ancora Pozza: «C’è una turnazione anche all’interno dei centri commerciali, che subiscono a loro volta la concorrenza dell’e-commerce. Perfino l’outlet di Noventa di Piave – da quanto so – è toccato dal problema. L’abbiamo visto negli Stati Uniti, del resto: quanti centri commerciali hanno chiuso e quanti danni, anche ambientali e sociali, queste chiusure abbiano comportato…».
Renato Piva