Ecco gli specialisti del welfare aziendale! Fortune Italia ne ha individuati 100 e li ha organizzati in cinque categorie dedicate: gli imprenditori (considerati Champions del settore), i manager, i provider, i professionisti e gli analisti.

 

Tra i provider – ossia gli intermediari del welfare come li definisce Fortune – anche la piattaforma welfare TreCuori SpA Società Benefit. Tramite un’intervista ad Alberto Fraticelli, Direttore e Co-founder di TreCuori, si parla della missione della società da lui fondata, che consiste nella riattivazione dell’economia dei territori attraverso i servizi erogati – tramite una piattaforma digitale proprietaria – a persone, imprese, realtà no-profit e pubbliche amministrazioni nei settori dei circuiti commerciali locali, dei market place, delle monete complementari, del marketing sociale, del welfare aziendale e pubblico.

Tra i soggetti intervistati nelle altre categorie di welfare specialist, diverse le figure che interagiscono a vario modo con la piattaforma TreCuori. Da Tantosvago ( della categoria Champions) che è un fornitore di servizi welfare per la piattaforma TreCuori, al commercialista Diego Paciello e all’avvocato Riccardo Zanon entrambi della categoria Professionisti che con le loro aree di competenza intercettano l’organizzazione del lavoro e dei lavoratori. Tra gli analisti, osservatori e studiosi del welfare, troviamo i nomi di Emmanuele Massagli, Franca Maino e Stefano Zamagni, figure che nel corso degli anni hanno collaborato con TreCuori in qualità di massimi esperti del loro campo.

Per leggere l’articolo completo con le testimonianze dei Welfare Specialist, si rimanda all’articolo di Fortune.

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Primo integrativo alla Far di Silla. L’articolo descrive il nuovo accordo welfare stipulato tra sindacati e azienda in favore dei dipendenti

 

Qualche accordo, negli ultimi anni, era già stato firmato. Ma quello raggiunto nei giorni scorsi, con il voto favorevole mercoledì della larga maggioranza dei dipendenti, è il primo contratto integrativo nella storia della Far Srl di Silla (Gaggio Montano), una fonderia che occupa 120 dipendenti nel cuore dell’Appennino. L’intesa con l’azienda prevede, sotto il profilo economico, un premio di risultato uguale per tutti e basato su due indicatori. Potrà arrivare, nel caso di una piena soddisfazione di entrambi, a un massimale di 700 Euro. Trattandosi della prima volta è quasi un esperimento: poi l’anno prossimo, a premio raggiunto, si trarranno le conclusioni e si vedrà come intervenire negli anni successivi. Inoltre sono stati incrementati i permessi retributivi, con dieci ore aggiuntive, e sono previste maggiorazioni retributive sui turni notturni. La Far, infatti, lavora quotidianamente su tre turni e a questo aspetto è dedicato un altro punto del contratto, uno dei principali dal punto di vista dei rappresentanti sindacali di Fiom Cgil e Fim Cisl, che insieme alla Rsu hanno lavorato per raggiungere l’accordo: gli Rls, i rappresentanti lavoratori sicurezza, sono aumentati da uno a due. Una misura, spiegano i sindacati in una nota, che si è resa necessaria perché i lavoratori ruotano su tre turni e sono divisi su più stabilimenti. Il contratto sarà in vigore per tre anni, fino alla fine del 2023.

“Questo risultato non è merito solo dei sindacati, ma della rsu che ha fatto un gran bel lavoro – commenta Barbara Graziano, funzionaria della Fiom -. E soprattutto è un risultato dell’unità: i lavoratori sono stati uniti, volevano questo integrativo. L’azienda si è messa al tavolo e così, senza scioperi, lo abbiamo ottenuto. E questa volta dall’Appennino arriva una bella notizia”. Sulla stessa linea anche Salvatore Parlato, funzionario della Fim Cisl: “Era importante portare un risultato ai lavoratori, anche per la situazione che c’è in giro oggi che vede molte aziende in difficoltà. E con il loro aiuto ce l’abbiamo fatta. Oltre alla parte economica, è molto importante quella sul fronte sicurezza, con la seconda Rls. È un passo importante, che dovrebbe essere seguito da tutti”.

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I sindacati: “Dall’azienda un riconoscimento dell’importanza del proprio capitale umano”

 

Rinnovato l’accordo integrativo sul premio di risultato per il biennio 2021-22 alla Florian Legno Spa di Riese Pio X, una delle principali realtà nel mercato del legno in Italia attiva dal 1974 e holding del gruppo Florian. L’accordo sottoscritto è stato reso possibile dalle ottime relazioni che intercorrono tra la Filca Cisl Belluno Treviso e l’azienda, ma anche dal forte mandato di rappresentanza consegnato alla Federazione del Legno della Cisl dai tanti dipendenti Florian iscritti al sindacato.

I TERMINI

Il contratto sottoscritto infatti prevede che gli incontri tra impresa e Rsu avverranno con cadenza bimestrale, nella garanzia di un confronto diretto e continuo sulla situazione aziendale, l’andamento produttivo e del mercato, le prospettive economiche, gli investimenti, l’occupazione, le innovazioni tecniche, il miglioramento ambientale e del lavoro. L’accordo prevede l’erogazione di un premio economico riconosciuto a operai e apprendisti al raggiungimento di determinati parametri. Quello principale è l’indice di produttività a cui si affianca quello di redditività: avrà un valore massimo di 1.260 Euro, ai quali vanno aggiunti buoni spesa per 200 Euro. Una quota aggiuntiva sarà erogata ai dipendenti maggiormente presenti sul posto di lavoro.

LE NOVITÀ

Il premio potrà essere convertito, a scelta dei lavoratori, in beni e servizi di welfare attraverso la piattaforma “TreCuori“, beneficiando così della detassazione totale sul valore. Con l’opzione welfare il lavoratore avrà riconosciuto un surplus del +15%, migliorando così la percentuale del 10% prevista dal precedente accordo. Definito nell’accordo aziendale anche il riconoscimento di una contribuzione aggiuntiva alla posizione previdenziale dei lavoratori iscritti al fondo Solidarietà Veneto. Da gennaio 2022 la quota a carico dell’azienda passerà all’attuale 2,70% al 2,80%, migliorando quanto previsto dal contratto nazionale del Legno Industria. “Il rinnovo di questo accordo aziendale  – commenta Marco Rossitto della Filca Belluno Treviso – dimostra che c’è da parte dell’azienda un chiaro riconoscimento dell’importanza del proprio capitale umano. Dal punto di vista sindacale viene valorizzata la contrattazione di secondo livello come strumento in grado di redistribuire ricchezza tra i lavoratori“.

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IL WELFARE AZIENDALE È CRESCIUTO DEL 40% FRA GLI ARTIGIANI. LE DITTE OFFRONO SERVIZI O VOUCHER AI DIPENDENTI FINO A MILLE EURO. TIZIANA PETTENUZZO DI CONFARTIGIANATO: “QUESTO È RISPETTO PER IL VALORE LAVORO”

 

Padova – C’è stato un modo con cui aziende e dipendenti si sono “tenuti insieme” durante l’anno durissimo della pandemia aiutandosi a vicenda. Ed è l’impiego del welfare aziendale che è stato messo in pratica soprattutto nelle piccole aziende artigiane. Come potremmo definirlo? Una mutua assistenza. E senza andare troppo per il sottile chiarire che è finito il tempo del panettone a Natale, ora si danno altri riconoscimenti, buoni per la palestra, o per i libri del figlio. Che sono “scontabili” dalla ditta.  In termini più tecnici è “l’insieme delle iniziative, dei beni e dei servizi che un’impresa mette a disposizione del dipendente come sostegno al reddito per accrescere il potere di spesa, ma anche la salute e il benessere del proprio collaboratore“.

I NUMERI

È accaduto dunque che questo sistema sia stato usato come argine contro l’instabilità economica e sociale connessa al Codid-19. Secondo i dati forniti da welfare Insieme, hub di Confartigianato dedicata al welfare, nel 2020 si è registrato nella nostra provincia un incremento del 40% dei contratti stipulati. Migliaia di lavoratori hanno usufruito di un credito welfare , ottenuto in base a piani aziendali che hanno consentito una spesa media per lavoratore di 650 Euro.

La maggioranza delle imprese artigiane che hanno scelto il welfare appartiene al comparto manifatturiero, in prevalenza si tratta di aziende metalmeccaniche. “Gli imprenditori scelgono il welfare aziendale, consapevoli che che la transizione economica passa anche attraverso modelli organizzativi diversi e sistemi di premialità innovativi – spiega Tiziana Pettenuzzo segretario generale di Confartigianato Imprese Padova – Ma ora aspettiamo un segnale forte dal nuovo governo in questa direzione. La partita è ancora aperta, visto il valore e le potenzialità di impatto sulla mobilità e sul sostegno al reddito dei lavoratori dipendenti, sempre più partecipi nel creare valore per le imprese”.

L’appello nasce da una consapevolezza: il welfare può diventare uno strumento strategico per fidelizzare, motivare, alzare il livello delle competenze, introdurre sistemi di valutazioni meritocratici, responsabilizzare il personale alla cultura del risultato. “La pandemia ha messo in risalto la necessità di mettere in campo azioni strutturali per il lavoro che cambia, nuove competenze, in particolare digitali – continua Pettenuzzo – I piani di welfare che stiamo siglando invece vanno a soddisfare quelle aspettative che riguardano la salute , la cura della propria persona e della famiglia, la formazione dei figli, uno stile di vita sostenibile, che preveda la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro”.

LA FILOSOFIA

“Il mondo dell’artigianato crede nel fattore welfare perché esso pone al centro la persona e la sua famiglia, perché permette di gestire le crisi economiche con gli strumenti della solidarietà e non con i licenziamenti, perché privilegia la partecipazione e alla politica del salario risponde con un politiche di crescita legate al merito. Tutto questo va a ridurre il turn-over, motiva il personale – spiega Pettenuzzo – e costituisce un elemento attrattivo anche verso le piccole imprese che, ogni giorno, lanciano appelli per la ricerca di personale qualificato e capace di cogliere la sfida dell’innovazione”.

Avere cura di sé, della propria azienda, della natura, significa anche avere rispetto delle istituzioni, fare sindacato, tutelare. Questo è il nostro compito come corpo intermedio, come organizzazioni datoriali, e anche la nostra sfida per il futuro”.

 

“Con l’incentivo in welfare meno assenze in produzione”

LE AZIENDE STANNO SFRUTTANDO AL MEGLIO IL WELFARE AZIENDALE APPLICANDO GLI INCENTIVI AL MIGLIORAMENTO DELLE PRODUTTIVITÀ MA ANCHE DEL BENESSERE DEI LAVORATORI. DUE TESTIMONIANZE

 

Padova – L’obiettivo del welfare aziendale è diffondere il benessere nei luoghi di lavoro e migliorare il clima aziendale, favorendo così la produttività dell’impresa. L’azienda, inoltre, erogando bonus e servizi ai lavoratori, può usufruire di sgravi fiscali. Per fare alcuni esempi di welfare aziendale, possiamo citare i buoni per lo shopping, la spesa alimentare o il carburante, i rimborsi per le spese sanitarie, il pagamenti dei costi scolastici per i figli (mense, libri, tasse universitarie) gli abbonamenti alle palestre o il pagamento dell’asilo nido. Il mondo dell’artigianato è attivo da alcuni anni nel settore del welfare, tanto che in seno a Confartigianato è nata Welfare Insieme, per rafforzare un obiettivo da sempre fondamentale per l’associazione: mettere al primo posto i bisogni delle persone, delle famiglie e dei territori.

NELLA MECCANICA

La OMD di Montagnana ha attivato un piano welfare nei mesi scorsi: ” Uno degli aspetti fondamentali di questo strumento è permettere di conciliare vita e lavoro perché è importante stare bene in azienda – spiega Sofia Dall’Aglio, socia dell’impresa che opera nel settore delle lavorazioni meccaniche di precisione – Abbiamo valutato quali potevano essere gli argomenti e le modalità di attivazione di un progetto di welfare che coinvolgesse il più possibile i dipendenti, perché siamo convinti che rappresenti un incentivo per i lavoratori. Non si tratta solo di raggiungere un premio economico stabilito, ma di cogliere un obiettivo importante: l’accrescimento personale e lavorativo. Faccio un esempio. Il plafond a budget era di mille Euro a dipendente. Abbiamo pensato alle ore di assenza. A chi entrava in prima fascia 500 euro. in seconda 200 euro, alla terza nessun premio. Ebbene tutti hanno raggiunto la prima. E noi abbiamo visto che per una visita medica nessuno stava più a casa tutta la giornata ma tornava al pomeriggio. Il resto del benefit invece lo abbiamo messo per pagare le tasse scolastiche o le mense per i figli. Ma anche per la palestra o la piscina”. Il problema odierno? “magari trovassimo personale specializzato. Non ci sono tornitori o fresatori”.

NEI SERVIZI

Ci sono state aziende che hanno colto l’opportunità del welfare aziendale in occasione del Natale, a conclusione di un anno complicato: “Invece di dare ai nostri collaboratori il classico dono, abbiamo pensato ad una soluzione che potesse fare tutti felici” spiega Donatella Merlo, socia della tipografia F.lli Zampieron di Cadoneghe. L’azienda opera nel settore dei biglietti d’auguri, messo in difficoltà dall’arrivo della pandemia, ma lavora anche con l’estero, in particolare con la Germania: “Realizziamo i menù per molte gelaterie tedesche che da anni sono nostre clienti. I ragazzi che lavorano nella nostra azienda devono essere creativi e noi cerchiamo sempre di creare una situazione familiare di collaborazione, per favorire il loro benessere lavorativo. Nella piattaforma welfare, ognuno di loro ha potuto scegliere ciò che più gli piaceva o gli serviva, anche in negozi di prossimità e non solo nei grandi store. Quando abbiamo presentato questa opportunità, insieme a Confartigianato, è stata accolta con piacere da tutti. Abbiamo avuto gli sgravi fiscali connessi al welfare e abbiamo ulteriormente migliorato il clima aziendale che per noi è fondamentale. Per quanto riguarda la crisi abbiamo avuto un calo del 30% del fatturato ma per fortuna lavoriamo molto con l’estero”.

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LA PANDEMIA COVID-19 HA DETERMINATO ENORMI CAMBIAMENTI NEL MONDO DEL LAVORO MA NONOSTANTE TUTTO, IL WELFARE AZIENDALE CONTINUA A RISCUOTERE L’INTERESSE DI IMPRESE E DIPENDENTI. PROPRIO PER QUESTO APPARE ANCORA PIÙ CRUCIALE CAPIRE COME FAVORIRE LA CRESCITA DI QUESTO FENOMENO IN MANIERA EQUA E SOSTENIBILE

 

La pandemia ha portato nel mondo del lavoro cambiamenti enormi. Il lavoro da remoto è stato il più evidente, ma non il solo. A risentirne è stato anche il welfare aziendale, che pare essersi confermato anche nell’anno del Coronavirus. “A causa dell’andamento economico negativo, ci aspettavamo una contrazione”, dice Emmanuele Massagli, presidente dell’Associazione Italiana Welfare Aziendale (AIWA). Invece, non sembra andata così. A suggerirlo sono i numeri del Ministero del lavoro e di Edenred Italia. I primi dicono che la percentuale di contratti con forme di welfare aziendale è cresciuta tra 2019 e 2020. I secondi riguardano un campione di tremila aziende clienti di quello che è uno dei principali provider del settore: lo scorso anno, in media, queste imprese hanno messo a disposizione di ogni dipendente 850 euro di welfare aziendale, solo dieci euro in meno del 2019. In entrambi i casi, però, si tratta di cifre parziali. Ad oggi, non esistono dati complessivi e nazionali sul fenomeno. Anche perché il welfare aziendale può essere sostenuto in vari modi: contratti collettivi nazionali, accordi territoriali o aziendali, regolamenti delle imprese, o anche con una parte dei premi di risultato. Allo stesso modo, i lavoratori possono spendere i loro contributi in molte forme: istruzione, sanità, assistenza per anziani e bambini, previdenza integrativa, attività ricreative e fringe benefit (buoni per spesa, carburante e shopping). La pandemia non ha portato a significativi aumenti di spesa per sanità o assistenza ai minori, come ci si poteva aspettare, quanto piuttosto a una crescita dei fringe benefit, spesso usati per mascherine, igienizzanti e dispositivi digitali per la DaD.

PARERI DIVERSI

Ad agosto, il governo ha deciso di raddoppiare il valore massimo di questi buoni, da 258 a 516 euro all’anno e la norma è stata rinnovata anche per il 2021. La scelta ha sicuramente spinto i consumi, ma è stata valutata in modo diverso.

  • Per Francesca Dattilo, responsabile relazioni istituzionali di Edenred, è positiva e va stabilizzata: “come provider, siamo convinti che questi buoni siano uno strumento utile e importante per avvicinare al welfare aziendale le piccole e medie imprese, che sono la vera sfida”.
  • Per Jorge Torre della CGIL, invece, “non si possono mettere sullo stesso piano buoni spesa e assistenza agli anziani”. “I fringe benefit sono graditi ai lavoratori perché in Italia c’è un problema di reddito, ma così facendo si snatura il welfare”, sostiene il sindacalista.

Le visioni opposte di Dattilo e Torre fanno emergere diversi temi. Il primo è la diffusione limitata e irregolare del welfare aziendale: poco presente nelle piccole e medie imprese, al sud e in settori come commercio, edilizia e ristorazione. Il secondo sono gli sgravi fiscali che, a partire dal 2016, ne hanno favorito la crescita. L’idea di fondo è che questo welfare integri quello pubblico e quindi lo Stato rinunci a delle entrate fiscali per promuoverlo. Ma in diversi osservatori hanno sollevato alcune perplessità sul fatto che sia effettivamente nell’interesse comune garantire maggiori agevolazioni per i fringe benefit.

La questione di fondo è capire come il welfare aziendale possa continuare a crescere senza però acuire le disuguaglianze tra i dipendenti di aziende, settori e territori diversi e soprattutto tra dipendenti e altri tipi di lavoratori, i più precari in particolare. Per Lorenzo Bandera del laboratorio Percorsi di secondo welfare, servono “progetti di welfare aziendale territoriale o interaziendale”. “Così – spiega il ricercatore – diventa possibile favorire economie di scala, aggregare la domanda e allargare la platea dei beneficiari, valorizzando la dimensione solidale di tutto il secondo welfare”. Su questo punto, a differenza dei fringe benefit, il consenso tra gli addetti ai lavori sembra più ampio. Aziende, provider, istituzioni locali, terzo settore, organizzazioni sindacali e datoriali possono lavorare insieme, per creare un’offerta di servizi che completi quella del welfare pubblico. Già succede.

Per esempio, in provincia di Bergamo con il progetto Beatrice, che ha creato una piattaforma potenzialmente aperta a tutti. O nell’Alto Milanese, dove le parti sociali hanno firmato un accordo per integrare welfare aziendale e sanità pubblica. Oppure a Siena, con un’iniziativa appena lanciata dalla Fondazione MPS. Non solo: esistono sperimentazioni anche per lavoratori agricoli e liberi professionisti. Le possibilità sono tante, sono legate alle specificità dei territori e potenzialmente potrebbero essere sostenute dal Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, che non cita esplicitamente il welfare aziendale ma stanzia fondi per il più ampio tema della conciliazione vita-lavoro. Per Torre di Cgil, “in materia di welfare, serve un nuovo equilibrio tra pubblico e privato. Per trovarlo bisogna lavorare insieme sui territori, con la contrattazione e la governance pubblica garanti del welfare universale”. Massagli di Aiwa, guardando al passato, è ottimista: “Dal 2016 ad oggi, in soli cinque anni, il welfare aziendale è passato da materia di studio teorica a realtà diffusa e conosciuta. Una crescita così non si spiega limitandosi a dire che le aziende ci guadagnano”.

 

L’analisi – LA “FILIERA CORTA” PIÙ ATTENTA AI NUOVI BISOGNI DEL TERRITORIO

Il welfare aziendale è un fenomeno sempre più diffuso in Italia. Un numero crescente di organizzazioni, grazie ai benefici fiscali previsti dello Stato ma anche per effetto di una cultura generalmente più attenta al benessere dei lavoratori, sceglie infatti di sostenere i propri dipendenti e collaboratori attraverso misure e benefit di natura sociale.

Oltre a essere un’opportunità sotto il profilo organizzativo, giuslavoristico e manageriale, tali strumenti possono innescare dei percorsi di innovazione sociale generando effetti positivi sulle comunità e sui territori. È il caso del cosiddetto welfare aziendale “a filiera corta”. Un’espressione con cui ci si riferisce a una forma di welfare aziendale fortemente aperta al territorio, incline ad attivare filiere di produzione di valore capaci di mettere a sistema le risorse locali, a partire da quelle del Terzo Settore, e innescare circoli virtuosi di sviluppo sociale ed economico in una prospettiva inclusiva e sostenibile, coerente con quella dell’Agenda 2030 promossa dall’ONU.

Si tratta, in altre parole, di un welfare aziendale maggiormente orientato al contesto in cui si trova l’impresa e ad attivare filiere locali capaci di includere diversi attori presenti a livello territoriale. Soprattutto in tessuti produttivi frammentati e dispersi, tale prospettiva sembra agevolata dall’adozione di strumenti già esistenti: dalla contrattazione collettiva interaziendale al contratto di rete, dalla bilateralità alla contrattazione territoriale, dalla costruzione di reti e partnership multiattore alla co-progettazione e co-gestione di servizi territoriali. Sono misure che consentono alle imprese di aggregare competenze e risorse economiche in una nuova ottica, volta a sostenere la progettazione e l’implementazione di forme innovative di secondo welfare.

In questa direzione è cruciale adottare una governance “ampia”, a cui possono prendere parte i principali stakeholder di un territorio. L’attore pubblico locale può fungere da cabina di regia; la filiera dei servizi del territorio, con a capo il Terzo Settore, può mettere a disposizione il proprio know-how e le proprie professionalità; il tessuto imprenditoriale e le parti sociali possono collaborare per garantire nuove formule di partecipazione e mediare tra gli interessi in gioco. In tal modo possono prendere vita interventi in grado di coinvolgere una platea sempre maggiore di beneficiari, aprendosi alla collettività. È questo, ad esempio, il caso degli asili nido aziendali o inter-aziendali che, pur essendo finanziati dalle imprese, garantiscono spesso nuovi posti anche ai figli di altri cittadini.

Per un welfare aziendale “a filiera corta” è quindi essenziale che i protagonisti del territorio superino l’autoreferenzialità per “riconoscersi” reciprocamente. Solo così possono nascere e svilupparsi logiche e soluzioni integrative finalizzate a rispondere ai nuovi bisogni sociali, superando anche la dicotomia pubblico-privato. Per farlo è tuttavia auspicabile il supporto di “agenti del cambiamento” – Fondazioni, associazioni datoriali e sindacali, mondo cooperativo – capaci di promuovere percorsi per accompagnare gli attori locali nella realizzazione di queste progettualità. È qui la base per creare un nuovo sistema integrato di interventi sociali.

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L’obiettivo è garantire il benessere dei lavoratori e, allo stesso tempo, produttività e impegno nell’azienda. Il tutto attraverso un sistema che mette assieme imprese e lavoratori. A perseguire questo obiettivo, ossia il welfare aziendale, è la start-up Fradi, prima azienda Sarda del settore, nata con lo scopo di mettere in relazione il “benessere dei lavoratori” con “gli interessi dell’azienda”. Attraverso i servizi di Fradi, il datore di lavoro può erogare i premi di produzione usando la formula del benefit e consentendo al dipendente di avere una sorta di “portafogli” su una piattaforma, in questo caso la “TreCuori”, attraverso cui accedere a una serie di opportunità.

Le opzioni sono i servizi primari come i classici buoni spesa, l’asilo nido o la badante per gli anziani, ma si arriva ai centri estivi per i ragazzi, viaggi-vacanza, sedute per la cura della persona o pagamento di pay-tv, perché “il welfare aziendale si basa, sì, sui bisogni ma anche sui desideri dei lavoratori” spiegano. Un sistema che, chiarisce Francesco Sanna, presidente della società ed esperto in sviluppo locale e nel supporto alle imprese per l’accesso al credito e alla finanza “ha un risvolto pratico ed economico di non poco conto”. Un esempio? “Supponiamo che un’azienda debba pagare un premio di 1.000 € a lavoratore – spiega -, ciò significa che in busta paga il dipendente premiato porterà a casa 650 Euro mentre all’azienda l’intera operazione costerà 1.200€. Se invece il premio viene erogato in beni e servizi welfare, il costo complessivo dell’azienda per ogni lavoratore e l’effettivo importo di il lavoratore potrà beneficiare coincideranno, e sarà pari in questo esempio a 1.000 €. Questo perché i premi erogati in welfare godono di completa detassazione sia per quanto riguarda l’azienda che il lavoratore, con conseguenti benefici per entrambi”. Con il risultato che ciascun lavoratore potrà scegliere il suo supermercato, dentista o estetista di fiducia. “In questa elasticità nella scelta del fornitore si innesca un meccanismo economico che – argomenta il presidente -, ora più che mai può realizzare una vera rete di sviluppo locale proprio perché il lavoratore solitamente sceglie di spendere quel benefit sul territorio nel quale vive”.

La start-up ha sede a Olbia ma opera in tutta l’Isola. “Molte aziende ci stanno contattando per accedere al servizio – sottolinea Sanna – noi ci occupiamo della consulenza all’impresa e ai lavoratori, assistiamo l’impresa nella predisposizione del piano di welfare e del regolamento e mettiamo in campo la piattaforma digitale “TreCuori” dove avvengono tutte le transazioni sulla spesa dei lavoratori”.

In sostanza, l’azienda che decide di convertire il premio produzione in welfare aziendale, contattando Fradi (https://fradisrl.it/), assegna il quantitativo economico del lavoratore alla piattaforma. Qui ogni lavoratore può accedere al suo salvadanaio e soddisfare le proprie esigenze, anche estendendo il suo welfare a tutto il nucleo familiare, compresi suoceri e nuore.

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Non solo provider, TreCuori è la Società Benefit specializzatasi in welfare aziendale che svolge un’azione capillare di sostegno ai territori e alle persone. Intervista al socio e fondatore Alberto Fraticelli 

 

Potremmo azzardare che TreCuori rappresenta l’anello di congiunzione tra il sistema dei provider e il mondo del Terzo settore in cui azienda e territorio è rimasto il binomio imprescindibile dell’attività di TreCuori, una delle prime Società Benefit costituite in Italia, sempre grazie alla norma della legge di Stabilità del 2016 che introduceva la possibilità di definire nuovi statuti societari in cui il profitto non era l’unico scopo delle società profit.

Dotata di una piattaforma welfare di proprietà che consente di gestire in autonomia le oltre 2mila aziende clienti, TreCuori si caratterizza per operare in un’ottica di intermediazione senza intermediazione: un paradosso positivo che favorisce fornitore ed utente.  I lavoratori con all’attivo un piano welfare TreCuori hanno infatti la possibilità di spendere il proprio credito welfare con la massima libertà, rivolgendosi anche ai propri fornitori di fiducia locali. A questi, a differenza di altre piattaforme welfare, TreCuori non chiederà alcuna commissione generando così un vantaggio per l’economia dei territori ma al contempo anche al fornitore che non ha sostenuto alcun costo per la convenzione stipulata. Ad oggi sono oltre 20mila i fornitori di servizi welfare della rete TreCuori in tutta Italia e possono esserne aggiunti di nuovi in qualsiasi momento.

Un modello di welfare generativo quello di TreCuori, non estrattivo, come dicono gli analisti del settore e finalizzato alla soddisfazione del cliente, azienda e lavoratori dell’azienda, generando benefici all’economia dei territori in cui le imprese sono insediate, per produrre benefici economici per tutti. Il welfare aziendale di TreCuori, in questo modo, è in grado di generare relazioni più calde, favorendo una integrazione non scontata tra azienda e comunità territoriali diventando un volano di sviluppo e di crescita per tutti.

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La definizione di provider di welfare aziendale gli va un po’ stretta. “Tre Cuori nasce prima della legge di Stabilità del 2016 con cui si è innescata la rivoluzione del welfare aziendale in Italia – spiega Alberto Fraticelli, socio e direttore generale della società – il nostro percorso viene dal marketing sociale per arrivare al welfare”. Potremmo azzardare che Tre Cuori rappresenta l’anello di congiunzione tra il sistema dei provider e il mondo del Terzo settore.

Azienda e territorio è rimasto il binomio imprescindibile dell’attività di Tre cuori, una delle prime società benefit costituite in Italia, sempre grazie alla norma della legge di Stabilità del 2016 che introduceva la possibilità di definire nuovi statuti societari in cui il profitto non era l’unico scopo delle società profit. Tecnicamente un “provider” puro, in quanto dotato di una piattaforma proprietaria per gestire l’offerta di benefit e prestazioni di welfare per oltre 2000 aziende clienti, così come all’inizio gestiva l’offerta di servizi per le azioni di marketing sociale.

Provider “con qualcosa in più”. Cioè? “Innanzitutto il territorio. Prima che la pandemia lo imponesse come nuovo elemento di resilienza e di sviluppo – continua Fraticelli – per noi il territorio è stato un riferimento costante. Ci hanno definiti operatori dell’economia dei territori, non tanto dell’economia del territorio. Differenza non banale: il nostro intervento non è finalizzato a difendere questo o quel territorio a scapito di un altro. La nostra attenzione è quella di sviluppare l’economia dei territori. Il gioco non è a somma zero, ma somma sempre positiva, poiché vogliamo innescare sempre dei circuiti di fornitori – oggi sono oltre 20mila – legati al territorio in cui è insediata l’azienda che ci chiede l’intervento. L’obiettivo è sempre la filiera corta”.

Circolarità? In qualche modo sì, anche perché la circolarità è inserita nel Dna dell’impresa Tre Cuori. “Nel nostro marchio abbiamo tre cuori inseriti in un cerchio azzurro. I tre cuori rappresentano il mondo profit, quello no profit, e il mondo dei cittadini, delle persone che fruiscono dei servizi. Il cerchio in cui racchiudiamo questi tre soggetti è quello della Pubblica Amministrazione, fattore di servizio per tutti gli altri” aggiunge Fraticelli.

Un’altra caratteristica non comune dell’offerta di welfare aziendale di Tre Cuori è la maggiore libertà di scelta assicurata ai lavoratori destinatari del piano. “Le aziende per cui lavoriamo sono chiamate ad amplificare l’ascolto dei loro collaboratori – spiega Fraticelli – al punto da chiedere loro di indicare il fornitore del servizio offerto. Che sia lo studio dentistico o la palestra, sono i lavoratori a proporre il loro fornitore di fiducia all’interno della piattaforma”. Questo ovviamente è un vantaggio per l’economia dei territori, come detto, ma anche un vantaggio per il fornitore che non pagherà alcuna commissione al provider per la convenzione stipulata.

Intermediazione senza intermediazione: un paradosso positivo che favorisce fornitore e utente. “Noi poi offriamo un servizio di customer service particolarmente efficace – continua Fraticelli – non legato all’orario di lavoro, in modo da consentire al lavoratore di prenotare i propri servizi senza dover sottrarre tempo al lavoro”. Per Tre Cuori non c’è mai il conflitto con il consulente aziendale. Che si tratti del commercialista, del consulente del lavoro o dell’associazione di categoria, Tre Cuori offre la propria collaborazione senza volersi sostituire a essi.

La caratteristica attenzione al territorio si è confermata durante il periodo della pandemia. I buoni spesa di Tre Cuori sono stati utilizzati anche come omaggi natalizi per le aziende che non hanno potuto erogare tutte le prestazioni welfaristiche promesse. Con un’attenzione particolare: erano buoni spesa spendibili integralmente sul territorio. Nessuna concessione ai più “facili” buoni affidati ad Amazon o a Zalando; le imprese clienti di Tre Cuori ne hanno fatto una scelta di “cuore”, indirizzando la spesa dei buoni spesa alle attività commerciali del territorio che avevano sofferto durante il periodo della pandemia.

“Il nostro modello di welfare generativo, non estrattivo, come dicono gli analisti del settore – aggiunge Fraticelli – è finalizzato alla soddisfazione del cliente, azienda e lavoratori dell’azienda, generando benefici all’economia dei territori in cui le imprese sono insediate, per produrre benefici economici per tutti. Il welfare aziendale, in questo modo, è in grado di generare relazioni più calde, favorendo una integrazione non scontata tra azienda e comunità territoriali. Diventa un volano di sviluppo e di crescita per tutti. Le difficoltà della pandemia hanno favorito questa novità, questa consapevolezza di condivisione delle difficoltà. Ci sono aziende, e parlo di molte Pmi, che vogliono continuare a fare welfare in azienda con la convinzione di mantenere queste relazioni”.

A proposito di cuore, Fraticelli conclude con un aneddoto da libro cuore, ma è tutto vero: “Un nostro nuovo cliente, un piccolo imprenditore familiare, titolare di un’azienda tessile della Romagna, con ottanta dipendenti, ci ha chiesto di predisporre un piano di welfare aziendale, anche per dare un segnale di attenzione ai dipendenti, che si erano caricati l’onere della continuità aziendale durante la malattia dei titolari. Il Covid ha bloccato fuori dall’azienda i titolari, ma i dipendenti hanno continuato a lavorare assumendosi l’onere di proseguire il lavoro al buio. Oggi l’imprenditore vuole in qualche modo restituire questa vicinanza assicurando un piano di welfare anche in un momento economico difficile per tutti”.

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Il welfare integrato di TreCuori punta a sostenere attività commerciali ed economiche di prossimità, in un’ottica di economia circolare.

 

Prendersi cura del territorio attraverso il welfare conviene. E non solo alle aziende. Nell’ultimo anno, per far fronte alle difficoltà emerse durante il lockdown e attutire le conseguenze economiche della pandemia, è cresciuta la richiesta di servizi da parte di Sindaci e Comuni, alla ricerca di soluzioni immediate per distribuire buoni spesa e buoni pasto. Gli operatori del welfare sono stati arruolati per agevolare l’erogazione del bonus alimentare, prima nella primavera e poi nell’autunno del 2020. In alcune realtà locali, però, si è fatto un passo in più, aiutando non solo le persone in difficoltà, ma anche le attività commerciali del territorio.

È questa da sempre la missione di TreCuori, società Benefit nata con l’obiettivo di generare una ricaduta sociale ed economica positiva attraverso l’attività di welfare aziendale e marketing sociale. A prescindere dal fatto che operi con un’azienda o con una Pubblica amministrazione, la società specializzata in welfare punta a non disperdere ‘altrove’ le risorse messe in campo, ma a indirizzarle verso i negozi di vicinato e le attività commerciali ed economiche di prossimità, in un’ottica di economia circolare.

“La nostra non nasce come piattaforma di welfare aziendale tradizionale, ma secondo la logica del valore condiviso”, spiega Alberto Fraticelli, Direttore di TreCuori. Lo strumento ideato prevede, infatti, che le attività ‘convenzionate’ TreCuori non paghino alcuna commissione, per garantire massima libertà al cittadino di scegliere dove acquistare e all’azienda di selezionare i fornitori. “Vogliamo far interagire mondo economico, mondo sociale e cittadini”.

La particolarità della soluzione sta proprio nella scelta di valorizzare gli operatori economici del territorio, spesso esclusi dal paniere di beni e servizi messo a disposizione dai grandi provider per la gestione dei fringe benefit. Per questa ragione, accanto ai buoni tradizionali, sono stati sviluppati i “buoni welfare TreCuori” che, al contrario, possono essere incassati da qualsiasi attività commerciale, senza commissione e con garanzia di pagamento ogni settimana. Quello che sembrava uno strumento locale e dai piccoli numeri si è rivelato una scommessa vincente: a oggi sono stati emessi buoni per un valore di oltre 800mila euro.

“Gli altri strumenti non si rivelavano adeguati allo scopo perché dedicati a un unico target”, spiega Fabio Streliotto, Co-founder di TreCuori ed esperto di progetti di welfare pubblico e territoriale. “Il welfare pubblico di solito opera a vantaggio di chi si trova in condizioni di fragilità, il welfare aziendale a beneficio di chi ha un contratto. Se li mettiamo insieme e facciamo sì che interagiscano in maniera virtuosa, però, valorizziamo anche il welfare comunitario offerto dalle organizzazioni no profit”.

 

L’impegno sui territori al fianco dei Comuni

Ben prima che l’emergenza Covid rendesse urgente la collaborazione tra player del welfare e amministrazioni pubbliche, TreCuori aveva infatti sperimentato progetti di welfare territoriale e comunitario in diverse zone del Paese. In provincia di Ravenna, nove Comuni del territorio, Associazioni di Categoria e istituzioni locali si sono riuniti nel consorzio “In Bassa Romagna” e, tra le varie iniziative che hanno sviluppato, hanno dato vita al progetto Fate i buoni. Si chiama invece Welfare Brianza la piattaforma promossa all’interno delle progettazioni relative alle politiche di conciliazione Famiglia-Lavoro dagli Ambiti Territoriali di Monza Brianza e dall’ATS MB, insieme all’azienda speciale consortile Offertasociale, che consente l’erogazione di Bandi contributo a sostegno dei Servizi di Conciliazione e ne favorisce la diffusione tramite un accesso unitario ai servizi. Infine, nella provincia di Lecco è nato il progetto Buoni solidali coordinato da Valoriamo e gestito dall’impresa sociale Il Girasole.

Il progetto di Lecco, in particolare, nasce proprio dalla volontà di promuovere una ricaduta economica che non si limiti ad avvantaggiare soltanto i lavoratori. Per non escludere le persone dotate di minore familiarità con gli strumenti digitali, sono stati creati dei welfare point, presidi fisici che supportano gli utenti nell’utilizzo della piattaforma digitale e aiutano i cittadini a orientarsi tra i servizi offerti. Il valore raccolto dall’iniziativa è confluito poi in un fondo istituito dalla comunità per sostenere le politiche attive del lavoro. Da strumento riservato ai lavoratori più garantiti, il welfare aziendale è diventato così in grado di generare nuove opportunità di inserimento.

“Quando hanno ricevuto le risorse, tutti i Comuni si sono trovati di fronte alla complessità di dover gestire i meccanismi di distribuzione e si sono rivolti alle piattaforme welfare che offrivano servizi simili. Queste, però, spesso scontano un limite legato alle percentuali di incasso e al fatto che chi accetta i buoni pasto non sempre è l’unico soggetto economico che il Comune avrebbe preferito coinvolgere per sostenerne l’attività”, spiega Fraticelli.

Qui entra in gioco il meccanismo illustrato: com’è accaduto nella zona di Lecco, il Comune pubblica un bando invitando tutti i soggetti economici del territorio – tra gli altri, supermercati, alimentari, farmacie – e li suddivide poi tra grandi player e piccoli player. Ogni beneficiario riceve un buono, in parte spendibile ovunque e in parte spendibile solo presso i negozi di prossimità, per garantire non solo che i fondi stanziati rimangano effettivamente sul territorio, ma anche che siano distribuiti quanto più possibile. “È un valore aggiunto che va oltre il welfare aziendale: diventa sviluppo locale”.

In questa direzione vanno anche le campagne di marketing sociale promosse sul territorio. Nel padovano, i Comuni di Abano, Montegrotto e Battaglia Terme hanno invitato oltre mille famiglie a fare acquisti nei negozi aderenti al circuito, con l’obiettivo di destinare alla scuola e ad altre no profit nuovi contributi a ogni spesa effettuata negli esercizi commerciali della zona. L’approccio legato alla responsabilità sociale si rivela, insomma, utile non solo per rivitalizzare le attività commerciali della zona e non lasciare impoverire interi territori, ma anche per dare una nuova veste al welfare aziendale. A tutto vantaggio sia delle amministrazioni pubbliche, che investono sulle loro comunità, sia delle aziende, che vogliono far star bene le proprie persone e magari attirarne di nuove.

“La bassa natalità, l’invecchiamento progressivo della popolazione e il fatto che i giovani guardino ormai a un mercato del lavoro globale sono tutti buoni motivi per preoccuparsi del territorio”, conclude Streliotto.  I giovani chiedono flessibilità e welfare e vogliono vivere in un territorio che non offra solo lavoro, ma anche servizi. “In termini di attrattività le piccole imprese non possono competere con le grandi multinazionali, ma i territori sì. Non possono farlo da sole, ma devono farlo insieme”.

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Si chiama “Fradi” ed è la prima, e finora unica in Sardegna, start-up sociale che si occupa di welfare aziendale. Il nome richiama i termini di “fratello” e “fratellanza” e l’obiettivo è offrire un insieme di servizi che metta in relazione il benessere del lavoratore, l’interesse dell’impresa e la creazione di una rete a sostegno del territorio. Attraverso i servizi di “Fradi”, il datore di lavoro può erogare i premi di produzione (solitamente riconosciuti in denaro ai dipendenti) sotto forma di benefit.

La start-up ha sede a Olbia ma opera in tutta l’Isola “perché mai come nel periodo di pandemia che si sta vivendo c’è una forte esigenza di avere nuovi e più efficaci servizi di assistenza con una nuova visione del welfare, non più a ciclo chiuso che inizia e finisce, ma come opportunità per creare un cambiamento strutturale e di percezione nelle persone”, sostiene Francesco Sanna, presidente della società ed esperto in sviluppo locale e nel supporto alle imprese per l’accesso al credito e alla finanza. Sanna è anche presidente di Fidicoop Sardegna, il maggiore consorzio fidi isolano del sistema cooperativo.
Fanno parte della squadra di “Fradi” anche Dimitri Pibiri (imprenditore sociale e ideatore di servizi per la famiglia e di conciliazione famiglia-lavoro), Efreem Carta (consulente per le aziende in materia di sicurezza sul lavoro e progettista in ambito welfare) e Rossana Salis (imprenditrice sociale e pedagogista clinica).

GLI EFFETTI DEL COVID

Partendo da questi cambiamenti, dagli effetti devastanti del Covid, e con l’obiettivo della promozione, sviluppo e realizzazione di interventi di innovazione sul territorio che mettano al centro la persona, la famiglia e il loro sistema di relazioni, è nata in Sardegna la prima start-up sociale che coinvolge i soggetti interessati con l’obiettivo di generare cambiamenti profondi nell’economia e nelle comunità.

OBIETTIVI

“Fradi -, sottolinea Sanna al notiziario Chartabianca – è animata dalla volontà dei dirigenti e imprenditori soci di svilupparsi nel tema del cosiddetto welfare di secondo livello, mai così determinante in questo momento di crisi dove diminuiscono le risorse pubbliche, aumentano i fabbisogni delle persone e cresce la necessità di creare nuovi progetti che mettano insieme tutte le varie componenti pubbliche e private, territorio e comunità”. Un’attività che si pone in linea con il trend che sta emergendo con sempre più forza nel tessuto economico locale, dove i lavoratori che spendono in welfare nel proprio territorio lo aiutano a crescere anche in una situazione difficile come quella attuale. In questo quadro “il welfare aziendale migliora anche il clima all’interno delle imprese – spiega Sanna – ma anche il rapporto datore di lavoro-azienda, con un riflesso positivo per l’aumento della produttività“.

COME FUNZIONA

Nel dettaglio, si tratta della possibilità per il datore di lavoro di erogare i premi di produzione sotto forma di benefit. Il datore decide di erogare i premi di produzione in welfare consentendo al dipendente di avere una sorta di ‘portafogli’ su una piattaforma, in questo caso la “Tre Cuori”, attraverso cui accedere a una serie di opportunità. Le opzioni sono i servizi primari come i classici buoni spesa, l’asilo nido o la badante per anziani, ma si arriva ai centri estivi per i ragazzi, viaggi-vacanza, sedute per la cura della persona o pagamento di pay-tv, perché “il welfare aziendale si basa, sì, sui bisogni ma anche sui desideri dei lavoratori”, aggiunge ancora Sanna. Insomma, “ciascun lavoratore può scegliere il suo supermercato, dentista o estetista di fiducia e in questa elasticità nella scelta del fornitore si innesca un meccanismo economico che, ora più che mai, può realizzare una vera rete di sviluppo locale – aggiunge – proprio perché il lavoratore solitamente sceglie di spendere quel benefit sul territorio nel quale vive”.

VANTAGGI PER L’AZIENDA E IL LAVORATORE

Oltre che contribuire allo sviluppo territoriale e dei servizi, questo tipo di welfare può essere anche economicamente vantaggioso per l’azienda che “convertendo il premio produzione in welfare aziendale risparmia mediamente quel 30-40% che avrebbe perso in oneri fiscali e contributivi” e per il lavoratore “che guadagna quella stessa percentuale in potere d’acquisto su servizi”.

COME ACCEDERE

“Molte aziende ci stanno contattando per accedere al servizio – sottolinea Sanna – noi ci occupiamo della consulenza all’impresa e ai lavoratori, assistiamo l’impresa nella predisposizione del piano di welfare e del regolamento e mettiamo in campo la piattaforma digitale “TreCuori” dove avvengono tutte le transazioni sulla spesa dei lavoratori“. In sostanza, l’azienda che decide di convertire il premio produzione in welfare aziendale, contattando “Fradi” (https://fradisrl.it/), assegna il quantitativo economico del lavoratore alla piattaforma. Qui ogni lavoratore può accedere al suo salvadanaio e soddisfare le sue esigenze, anche estendendo il suo welfare a tutto il nucleo familiare, compresi suoceri e nuore.

L’INTERESSE DEI COMUNI

Un sistema che si sta diffondendo anche in ambito pubblico. “Stiamo riscontrando una fortissima apertura proprio dal sistema dell’amministrazioni pubbliche come i Comuni – conferma Sanna – perché questo concetto di ‘benessere’ del lavoratore torna a essere il punto centrale. Le ripercussioni positive contagiano anche il territorio circostante creando una connessione che è, alla fine, un’azione vera e propria di sviluppo locale”.

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