Il welfare integrato di TreCuori punta a sostenere attività commerciali ed economiche di prossimità, in un’ottica di economia circolare.
Prendersi cura del territorio attraverso il welfare conviene. E non solo alle aziende. Nell’ultimo anno, per far fronte alle difficoltà emerse durante il lockdown e attutire le conseguenze economiche della pandemia, è cresciuta la richiesta di servizi da parte di Sindaci e Comuni, alla ricerca di soluzioni immediate per distribuire buoni spesa e buoni pasto. Gli operatori del welfare sono stati arruolati per agevolare l’erogazione del bonus alimentare, prima nella primavera e poi nell’autunno del 2020. In alcune realtà locali, però, si è fatto un passo in più, aiutando non solo le persone in difficoltà, ma anche le attività commerciali del territorio.
È questa da sempre la missione di TreCuori, società Benefit nata con l’obiettivo di generare una ricaduta sociale ed economica positiva attraverso l’attività di welfare aziendale e marketing sociale. A prescindere dal fatto che operi con un’azienda o con una Pubblica amministrazione, la società specializzata in welfare punta a non disperdere ‘altrove’ le risorse messe in campo, ma a indirizzarle verso i negozi di vicinato e le attività commerciali ed economiche di prossimità, in un’ottica di economia circolare.
“La nostra non nasce come piattaforma di welfare aziendale tradizionale, ma secondo la logica del valore condiviso”, spiega Alberto Fraticelli, Direttore di TreCuori. Lo strumento ideato prevede, infatti, che le attività ‘convenzionate’ TreCuori non paghino alcuna commissione, per garantire massima libertà al cittadino di scegliere dove acquistare e all’azienda di selezionare i fornitori. “Vogliamo far interagire mondo economico, mondo sociale e cittadini”.
La particolarità della soluzione sta proprio nella scelta di valorizzare gli operatori economici del territorio, spesso esclusi dal paniere di beni e servizi messo a disposizione dai grandi provider per la gestione dei fringe benefit. Per questa ragione, accanto ai buoni tradizionali, sono stati sviluppati i “buoni welfare TreCuori” che, al contrario, possono essere incassati da qualsiasi attività commerciale, senza commissione e con garanzia di pagamento ogni settimana. Quello che sembrava uno strumento locale e dai piccoli numeri si è rivelato una scommessa vincente: a oggi sono stati emessi buoni per un valore di oltre 800mila euro.
“Gli altri strumenti non si rivelavano adeguati allo scopo perché dedicati a un unico target”, spiega Fabio Streliotto, Co-founder di TreCuori ed esperto di progetti di welfare pubblico e territoriale. “Il welfare pubblico di solito opera a vantaggio di chi si trova in condizioni di fragilità, il welfare aziendale a beneficio di chi ha un contratto. Se li mettiamo insieme e facciamo sì che interagiscano in maniera virtuosa, però, valorizziamo anche il welfare comunitario offerto dalle organizzazioni no profit”.
L’impegno sui territori al fianco dei Comuni
Ben prima che l’emergenza Covid rendesse urgente la collaborazione tra player del welfare e amministrazioni pubbliche, TreCuori aveva infatti sperimentato progetti di welfare territoriale e comunitario in diverse zone del Paese. In provincia di Ravenna, nove Comuni del territorio, Associazioni di Categoria e istituzioni locali si sono riuniti nel consorzio “In Bassa Romagna” e, tra le varie iniziative che hanno sviluppato, hanno dato vita al progetto Fate i buoni. Si chiama invece Welfare Brianza la piattaforma promossa all’interno delle progettazioni relative alle politiche di conciliazione Famiglia-Lavoro dagli Ambiti Territoriali di Monza Brianza e dall’ATS MB, insieme all’azienda speciale consortile Offertasociale, che consente l’erogazione di Bandi contributo a sostegno dei Servizi di Conciliazione e ne favorisce la diffusione tramite un accesso unitario ai servizi. Infine, nella provincia di Lecco è nato il progetto Buoni solidali coordinato da Valoriamo e gestito dall’impresa sociale Il Girasole.
Il progetto di Lecco, in particolare, nasce proprio dalla volontà di promuovere una ricaduta economica che non si limiti ad avvantaggiare soltanto i lavoratori. Per non escludere le persone dotate di minore familiarità con gli strumenti digitali, sono stati creati dei welfare point, presidi fisici che supportano gli utenti nell’utilizzo della piattaforma digitale e aiutano i cittadini a orientarsi tra i servizi offerti. Il valore raccolto dall’iniziativa è confluito poi in un fondo istituito dalla comunità per sostenere le politiche attive del lavoro. Da strumento riservato ai lavoratori più garantiti, il welfare aziendale è diventato così in grado di generare nuove opportunità di inserimento.
“Quando hanno ricevuto le risorse, tutti i Comuni si sono trovati di fronte alla complessità di dover gestire i meccanismi di distribuzione e si sono rivolti alle piattaforme welfare che offrivano servizi simili. Queste, però, spesso scontano un limite legato alle percentuali di incasso e al fatto che chi accetta i buoni pasto non sempre è l’unico soggetto economico che il Comune avrebbe preferito coinvolgere per sostenerne l’attività”, spiega Fraticelli.
Qui entra in gioco il meccanismo illustrato: com’è accaduto nella zona di Lecco, il Comune pubblica un bando invitando tutti i soggetti economici del territorio – tra gli altri, supermercati, alimentari, farmacie – e li suddivide poi tra grandi player e piccoli player. Ogni beneficiario riceve un buono, in parte spendibile ovunque e in parte spendibile solo presso i negozi di prossimità, per garantire non solo che i fondi stanziati rimangano effettivamente sul territorio, ma anche che siano distribuiti quanto più possibile. “È un valore aggiunto che va oltre il welfare aziendale: diventa sviluppo locale”.
In questa direzione vanno anche le campagne di marketing sociale promosse sul territorio. Nel padovano, i Comuni di Abano, Montegrotto e Battaglia Terme hanno invitato oltre mille famiglie a fare acquisti nei negozi aderenti al circuito, con l’obiettivo di destinare alla scuola e ad altre no profit nuovi contributi a ogni spesa effettuata negli esercizi commerciali della zona. L’approccio legato alla responsabilità sociale si rivela, insomma, utile non solo per rivitalizzare le attività commerciali della zona e non lasciare impoverire interi territori, ma anche per dare una nuova veste al welfare aziendale. A tutto vantaggio sia delle amministrazioni pubbliche, che investono sulle loro comunità, sia delle aziende, che vogliono far star bene le proprie persone e magari attirarne di nuove.
“La bassa natalità, l’invecchiamento progressivo della popolazione e il fatto che i giovani guardino ormai a un mercato del lavoro globale sono tutti buoni motivi per preoccuparsi del territorio”, conclude Streliotto. I giovani chiedono flessibilità e welfare e vogliono vivere in un territorio che non offra solo lavoro, ma anche servizi. “In termini di attrattività le piccole imprese non possono competere con le grandi multinazionali, ma i territori sì. Non possono farlo da sole, ma devono farlo insieme”.